venerdì 23 febbraio 2018

"L’Italia è ferma tra un passato che non torna e un futuro che non arriva"


Ieri sono andata a vedere “Quello che non ho” al Teatro degli Arcimboldi, che tra parentesi, è un bellissimo teatro.
“Quello che non ho” è uno spettacolo di teatro canzone con Neri Marcoré che racconta con le poesie musicali di De Andrè  e le visioni profetiche di Pier Paolo Pasolini il mondo di oggi in costante equilibrio tra l’ansia del presente e la speranza nel futuro .
Un binomio potente di parole e note che disegna un paese e un pianeta pieni di pregiudizi, votati ad un consumismo becero e distruttivo, dove lo sviluppo non porta evoluzione e il potere subdolo sembra aver addormentato la coscienza critica di tutti. 
Ad accompagnare lo spettacolo e a donargli un grande valore aggiunto, un abile trio di musicisti: la cantante Giua e le chitarre di Pietro Guarracino e Vieri Sturlini. 
Marcorè è un mattatore, spazia dalla recitazione al canto suonando anche la chitarra. Anche se, secondo me, responsabile della buona riuscita dello spettacolo sono la scelta intelligente, del regista Giorgio Gallione, dei testi di De André, quasi tutti tratti dall’album “Le nuvole” e l’ottima performance dei musicisti.
Altrimenti Marcoré è stato un po’ troppo statico con una recitazione molto impostata, e a volte quasi didascalico nell'elencare le notizie, ma è stato spettacolare come imitatore, a tratti sembrava davvero che sul palco ci fosse Fabrizio De André.
Intrecciando realtà e paradosso, satira e suggestione poetica, con un ritmo sincopato, si pone la luce su alcuni dei maggiori orrori mondiali e su alcune tragiche facezie nostrane.
Le gigantesche isole di plastica che riempiono gli oceani.
I bambini nel mondo sfruttati per lavorare in miniera o come bambini soldato.
Le guerre civili causate dal coltan, minerale indispensabile per l’industria elettronica.
L ‘inquinamento della costa di Siracusa dopo il disastro ambientale di Priolo. I bambini deformi. Marina di Melilli il paese che non c’è più.
I bambini rom morti bruciati vivi per la povertà.
Fino alle surreali interrogazioni parlamentari che lamentano la scomparsa di Clarabella dai gadget dell’acqua minerale.

Tutto questo si contrappone costantemente alle riflessioni ciniche di Pasolini, profeta della realtà italiana di oggi, specchio del mondo e del consumismo estremo dominante: un ossimoro tra forza e sensibilità, che è il leitmotiv di tutto lo spettacolo.
Il percorso si chiude con un briciolo di speranza: il ritorno delle lucciole, di cui Pasolini, aveva denunciato la scomparsa nella dissoluzione morale, politica e sociale dei suoi giorni. 




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